
13 Ott Le strutture inclusive sono più efficienti
Strutture inclusive, in che modo sono più efficienti?
Attualmente il mondo del lavoro è organizzato, per la stragrande maggioranza delle organizzazioni, in modo gerarchico. La gerarchia, per quanto illuminata, prevede una differenza di ruoli, responsabilità e status, quindi di potere.
Ambienti di questo tipo difficilmente possono essere strutture inclusive. Facilmente c’è il rischio di esclusione, ad esempio nella forma di subire le decisioni dall’alto. Chi è sopra ordina, chi è sotto esegue per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione, sia che si trovi d’accordo o meno con le direttive dei capi.
Certo esistono varie declinazioni della gerarchia e manager più o meno abili a coinvolgere i collaboratori. Tuttavia la struttura non inclusiva esercita tipicamente il comando e controllo. Inclusione, partecipazione, condivisone di valori e fini, devono essere attivamente cercati e nutriti. La tendenza va, invece, nella direzione della differenziazione, della segregazione e dell’isolamento.
Le strutture inclusive sono nemiche della gerarchia
Inevitabilmente la gerarchia produce barriere e differenze, in quanto si fonda su di essi. Intrinsecamente gerarchia è differenza (di responsabilità, potere decisionale, retribuzione, status…). Da qui il rischio concreto dell’esclusione. Sentirsi soli pur vivendo e lavorando in mezzo agli altri è una percezione tutt’altro che remota; per molti, una realtà quotidiana.
Soluzioni come abbattere i muri degli uffici, lavorare in grandi open space, condividere spazi insieme ai capi… non portano grandi risultati.
Le barriere all’inclusione non sono, in maggioranza, di natura fisica. Nascono e si sviluppano con lo status, con l’esercizio del potere, con la strutturazione sociale che è per definizione immateriale.

Costruire strutture inclusive
La ristrutturazione delle organizzazioni deve andare oltre la riorganizzazione fisica degli spazi (o dei tempi). Ma coinvolgere la dimensione gerarchica della struttura e le relazioni fra i suoi membri.
Il mercato, di per sé, è una struttura democratica ed egualitaria. Le grandi organizzazioni gerarchiche rappresentano un ostacolo allo sviluppo dell’economia di mercato. Oggi assistiamo alla creazione di enormi strutture con caratteristiche di oligopoli.
Un esperimento sull’inclusività
In questo esperimento del 2003
Poi vengono chiamati in una stanza separata dal selezionatore per il colloquio. Tra le altre cose viene chiesto di indicare su un foglio i nomi di due, tra le persone che hanno appena incontrato, con le quali gli piacerebbe lavorare e di altri due con le quali proprio non vorrebbero avere a che fare. A tutti i partecipanti viene fatta, individualmente, la stessa domanda.
In un secondo colloquio i soggetti vengono riconvocati. A metà gruppo viene detto che tutti gli altri hanno affermato che avrebbero piacere di lavorare con loro.
All’altra metà viene detto che tutti gli altri hanno affermato di non voler avere niente a che fare con loro.
Una manipolazione che gli sperimentatori hanno escogitato per creare artificialmente un senso di inclusione e un senso di rigetto ed esclusione
L’effetto di strutture non inclusive
Quali sono le conseguenze del sentirsi inclusi o esclusi?
Lo studio procede con una serie di diversi esperimenti nei quali vengono studiate le implicazioni dell’ostracismo su varie dimensioni psicologiche. Globalmente quello che emerge è che sentirsi esclusi e non accettati dagli altri produce un senso generale di “apatia” mentale.
Ci si aspetterebbe che le persone reagiscano con rabbia o dispetto. Invece la reazione è del tutto diversa: si nota indifferenza, un sentimento di vuota inconsapevolezza.
È come se davanti al dolore del sentirsi esclusi si spegnesse il circuito delle emozioni per evitare di provare sentimenti troppo forti e dolorosi.
Questo non dovrebbe sorprendere, visto che sappiamo dalle neuroscienze che il dolore dell’esclusione sociale viene generato dagli stessi circuiti neuronali che sono implicati nella percezione del dolore fisico. Sentirsi esclusi ci “spegne”. Gli effetti comportamentali di questa reazione psicologica sono, naturalmente, rilevanti.
Gli esperimenti di Jean Twenge e dei suoi colleghi mostrano, per esempio, che l’ostracismo determina modificazioni nell’atteggiamento individuale rispetto al tempo. Gli esclusi perdono interesse per il futuro, si concentrano quasi esclusivamente sulle conseguenze a breve termine delle loro azioni e cercano gratificazioni immediate. Sviluppano una percezione distorta del tempo e una sensazione che questo si muova più lentamente. Questo elemento produce anche una perdita generalizzata di senso. In genere, infatti, il senso che attribuiamo alle azioni presenti deriva dalle conseguenze future che queste produrranno e una ridotta focalizzazione sul domani tende a sottrarre significato all’oggi.
Creare strutture realmente inclusive è possibile, studiando le dinamiche del tuo sistema, elicitando la qualità delle relazioni e la percezione che ne hanno i singoli individui, con l’intervento di un counselor sistemico puoi fare una valutazione del clima aziendale e costruire un percorso di cambiamento.
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